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Forbes fa la classifica dei dieci paperoni d’Africa. Una donna all’ottavo posto

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Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
Firenze, 3 giugno 2017

L’Africa è povera, o almeno così la vediamo, ma pochi sanno che la ricchezza di soli 50 miliardari africani ammonta a 96,5 miliardi di USD. Forbes, rivista statunitense di economia e finanza fondata nel 1917, ha redatto una classifica degli africani più ricchi. Tra questi paperoni troviamo il re del Marocco, tre sono sudafricani bianchi, due egiziani, due nigeriani, un algerino e anche una donna: la figlia del presidente dell’Angola.

Aliko Dangote
L’uomo più ricco d’Africa è il nigeriano Aliko Dangote con un patrimonio netto di 16,4 miliardi di dollari derivanti vari settori dall’industria e dei servizi: dal cemento agli immobili, dalla farina al sale, dalle bevande ai fertilizzanti, dalle telecomunicazioni al gas, dall’acciaio allo zucchero. È proprietario del Dangote Group che opera oltre che in Nigeria, in Benin, Etiopia, Senegal, Camerun, Ghana, Sudafrica, Togo, Tanzania e Zambia.

Nicky Oppenheimer
Il secondo posto per ricchezza spetta all’imprenditore sudafricano Nicholas Oppenheimer. Conosciuto come “Nicky”, il miliardario con un patrimonio di 6.6 miliardi di usd è il maggiore azionista della multinazionale dei diamanti De Beers, insieme di imprese che si occupa di ricerca, lavorazione e vendita di diamanti. Nicky è anche azionista di maggioranza della compagnia mineraria Anglo American plc una delle più maggiori società minerarie del pianeta e socio di diverse imprese minerarie minori.

Cristoffel Wiese
Anche il quarto posto nella classifica dei primi dieci miliardari d’Africa è di un sudafricano bianco: Cristoffel Wiese. Con un patrimonio netto di 6,5 miliardi di USD suo settore è la vendita al dettaglio attraverso la Steinhoff International, una holding che opera in Europa, Asia Africa, Stati Uniti e Australia con circa 6.000 punti vendita e 90mila addetti. Steinhoff in Africa include marchi come HiFi Corp, Pennypinchers, Timbercity, Pep, Ackermans, Shoe City, Incredible Connection e Unitrans con oltre 4.300 punti vendita in quasi tutta l’Africa australe e la Nigeria.

Johann Rupert
È un sudafricano bianco anche Johann Rupert, che troviamo al quarto posto con 6,3 miliardi di USD. Erede del magnate sudafricano Anton Rupert è presidente della Compagnie Financiere Richemont con sede in Svizzera famosa per la vendita di marchi di lusso tra cui Cartier e Mont Blanc.

È anche presidente della Remgro, una società di investimento con interessi nel settore bancario, servizi finanziari, settore degli imballaggi, prodotti in vetro, servizi medici, miniere, petrolio, bevande, alimenti e prodotti per la cura personale.

Mohammed VI
Il re del Marocco Mohammed VI si trova al quinto posto con beni per 5.7 miliardi di USD. Diciottesimo sovrano della dinastia alawide è al trono dal 1999 dopo la morte del padre Hassan II. Dal genitore ha ereditato la Société Nationale d’Investissement (SNI) grande holding privata marocchina di proprietà principalmente della famiglia reale.

La SNI opera in diversi settori: dalle banche alle telecomunicazioni, dall’energia rinnovabile alle miniere, dall’industria alimentare ai supermercati. Sta investendo in vari Paesi africani tra i quali Camerun, Costa d’Avorio, Ruanda e Gabon.

Nassef Sawiris
L’egiziano Nassef Sawiris occupa la sesta posizione della classifica di Forbes con un reddito netto di 4,9 miliardi di USD. Dal 1998 è amministratore delegato di Orascom Construction Industries (OCI), con sede al Cairo, in Egitto. La OCI è la prima corporation multinazionale egiziana e fornitore leader nel settore ingegneristico e nelle costruzioni oltre che maggior produttore di fertilizzanti.

La società è stata la prima multinazionale del Paese nordafricano ed è una delle principali società del gruppo Orascom. Sawiris è stato membro del Nasdaq a Dubai tra il 2008 e il 2010. È nel consiglio di amministrazione di Besix Group il più grande gruppo belga che opera nell’edilizia, costruzione di infrastrutture e strade. È anche nel consiglio di amministrazione della lussemburghese e NNS Holding e direttore della LafargeHolcim, multinazionale del Lussemburgo che produce cemento, aggregati e calcestruzzo presente in 90 Paesi e 115 mila dipendenti.

Mike Adenuga
Il settimo posto, con 3.5 miliardi di USD è del nigeriano Mike Adenuga. Secondo super ricco della Nigeria, Adenuga deve la sua ricchezza soprattutto alle telecomunicazioni e al petrolio. Fondatore e proprietario della Globacom (34 milioni di utenti), secondo operatore di telecomunicazioni del grande Paese africano, è presente anche in Ghana, Benin e Costa d’Avorio.

Possiede partecipazioni nella Equitorial Trust Bank, che ha un centinaio di succursali in tutta la Nigeria, e nella società di esplorazione petrolifera Conoil, che fa attività di vendita al dettaglio nel settore aeronautico nei lubrificanti, gas e petrolio.

Isabel dos Santos, all'insediamento come presidente della Sonangol, la compagnia petrolifera angolana

Isabel dos Santos, all’insediamento come presidente della Sonangol, la compagnia petrolifera angolana

Isabel dos Santos
Figlia del presidente angolano José Eduardo dos Santos, Isabel, secondo Forbes, è donna più ricca del continente africano e l’unica signora che fa parte dei top ten in Africa. Forbes la mette all’ottavo posto con un reddito netto di 3,4 miliardi di USD. La fonte della sua ricchezza, in parte ereditata dal padre al potere in Angola senza soluzione di continuità dal 1979, sono gli investimenti.

Considerata una bravissima donna d’affari ha importanti interessi in Angola e in Portogallo nelle telecomunicazioni, nei media, nelle vendita al dettaglio, nella finanza e nell’energia. È in possesso di azioni di imprese che operano nell’estrazione dei diamanti e di petrolio. Nel 2016 dal padre è stata messa alla presidenza della Sonangol, la compagnia petrolifera nazionale.

Issad Rebrab
Nel 2014 sembrava che il miliardario algerino fosse il salvatore delle acciaierie Lucchini di Piombino e dei 2 mila posti di lavoro ma dopo tre anni Rebrab non mantiene gli impegni presi. Formes piazza Issad Rebrab al nono posto con un patrimonio di 3,2 miliardi di USD.

È proprietario del gruppo Cevital, prima azienda privata in Algeria e una della maggiori raffinerie di zucchero del mondo che conta 26 succursali in tre continenti e 18 mila addetti. Il suo business sono l’agro-industriale e la distribuzione, il mercato automobilistico e immobiliare e il settore metallurgico. È interessato anche al settore dei media: proprietario del quotidiano Liberté, nel 2016 ha acquisito El Khabar media group, che pubblica l’omonimo quotidiano.

Naguib Sawiris
Fratello di Nasseref, Naguib è al decimo posto dei super-ricchi d’Africa con 3 miliardi di USD. Con Media and Technology Holding (OTMT) è un magnate delle telecomunicazioni non solo in Egitto ma anche in altri Paesi africani, Medio Oriente, Asia, America settentrionale ed Europa. Nel 2005 ha fondato la Weather Investment, guidandola all’acquisizione della quota di controllo di Wind Telecomunicazioni in Italia.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com
twitter: @sand_pin

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Nigeria tra corruzione, miseria, tribalismo e il terrorismo di Boko Haram

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Cornelia I. Toelgyes Rov 100Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 29 giugno 2017

Il presidente della Nigeria Muhammadu Buhari ha lasciato la sua residenza ad Abuja il 7 maggio per la volta di Londra, dove si trova tutt’ora per terapie mediche, non si sa per quale patologia, che viene tutelata come un segreto di Stato (http://www.africa-express.info/2017/05/05/buhari-e-ammalato-la-nigeria-ripiomba-nel-caos-con-la-corruzione-che-torna-ai-massimi-livelli/). Da allora Buhari non è più apparso in pubblico. La popolazione protesta, perché durante tutto questo periodo anche il jet presidenziale si trova in uno degli aeroporti londinesi e i contribuenti nigeriani dovranno versare almeno milletrecento dollari al giorno per la sosta dell’aereo. Anche se la ex colonia britannica è ricchissima di petrolio, la maggior parte della popolazione vive con meno di due dollari al giorno.

La corruzione, il terrorismo, gli scontri etnici e mille altri problemi affliggono il gigante dell’Africa, che, durante l’assenza di Buhari, eletto nel 2015, viene guidato dal suo vice, Yemi Osinbajo, un abile avvocato di Lagos, la capitale finanziaria della ex colonia britannica, che con i suoi centottanta milioni di abitanti è lo Stato più popolato del continente africano.

Nigeria

Nigeria

La lotta contro la corruzione, che è stata uno dei cavalli di battaglia di Buhari durante la sua campagna elettorale, ha portato finora ben pochi frutti. Sabato scorso un investigatore della Commissione contro i crimini di corruzione economica e finanziaria (Economic and Financial Crimes Commission), EFCC, è stato ferito da colpi di arma da fuoco a Port Harcourt, capoluogo del River State, nel Delta del Niger.

Prima dell’incidente, l’investigatore dell’EFCC, Austin Okwor, avrebbe ricevuto diversi SMS con minacce pesanti. Attualmente Okwor è ricoverato all’ospedale della città.

Per fortuna, proprio dalla regione del Delta del Niger, giungono anche notizie positive. I New Niger Delta Avengers (tradotto liberamente in italiano: i nuovi vendicatori del Delta del Niger), hanno ritirato proprio in questi giorni le terribili minacce di voler attaccare nuovamente gli impianti delle compagnie petrolifere a partire dal 30 giugno 2017. Il gruppo “New Delta Niger Avengers” è sicuramente collegato ai “Niger Delta Avengers”  che lo scorso anno avevano effettuato parecchi sabotaggi agli impianti petroliferi, mettendo in serie difficoltà l’economia del Paese, basata principalmente sull’oro nero e i suoi derivati (http://www.africa-express.info/2016/05/09/delta-del-niger/) (http://www.africa-express.info/2016/07/02/attacco-a-tecnici-delleni-in-nigeria-tre-morti-tra-cui-un-italiano/).

Combattenti Niger Delta Avengers

Combattenti Niger Delta Avengers

In un comunicato il gruppo ha annunciato mercoledì scorso di voler dare una possibilità al proseguirsi dei colloqui tra il governo e gli amministratori locali. “Vogliamo dare un’opportunità alla pace” – hanno sottolineato nel loro messaggio. Si spera che le negoziazioni tra Stato centrale e autorità del luogo proseguano. La parola pace è un vocabolo ormai quasi scomparso nella quotidianità nigeriana e non solo.

Negli ultimi mesi sono stati cacciati via con la forza decine di migliaia di persone, da due baraccopoli situate vicino al mare a Lagos. Il governo non ha usato le maniere gentili certamente le maniere gentili durante lo sgombero. Otodo Gbame e Itedo, due villaggi “abusivi”, abitati soprattutto da pescatori, sono stati praticamente rasi al suolo, e i residenti ora sono dei senza tetto, costretti a dormire per strada, hanno perso quel poco che possedevano e ogni possibilità di sostentamento.

Desolazione dopo gli sgomberi forzati di villaggi abusivi di pescatori a Lagos

Desolazione dopo gli sgomberi forzati di villaggi abusivi di pescatori a Lagos

Ora una Corte nigeriana ha dichiarato incostituzionale il provvedimento del governo, in particolare per quanto concerne Otodo Gbame, in quanto non era stato previsto e organizzato un piano di reinsediamento alternativo. I giudici hanno ordinato alle autorità di interrompere gli sgomberi forzati e di risarcire gli abitanti dei danni subiti. Inizialmente il Lagos ha negato l’evidenza, affermando che le baracche sarebbero state distrutte da un incendio e per questo motivo si era resa necessaria la bonifica di tutta l’area per evitare altri disastri. La Corte ovviamente non ha preso in considerazione tale versione.

Un verdetto certamente esemplare, ma è probabile che non abbia alcun seguito. Già in passato altre sentenze simili non sono state soddisfatte.

Nel centro della Nigeria gli scontri tra i pastori semi-nomadi musulmani e gli agricoltori residenti, per lo più cristiani, si fanno sempre più intensi. La desertificazione, la scarse piogge spingono i pastori fulani verso le zone più fertili al centro della ex colonia britannica.

I fulani sono di origini antiche. Si ipotizza che siano i discendenti di una popolazione preistorica del Sahara, immigrata in seguito nel Senegal, per poi spostarsi verso l’anno 1000 d.C. lungo le rive del fiume Niger, alla ricerca di nuovi pascoli per le loro mandrie. A loro si deve la diffusione della religione islamica nell’Africa occidentale. Vivono in un territorio che va dalle coste dell’Oceano Atlantico a quelle del Mar Rosso.

Loro stessi si chiamano con il nome “fulbe” (singolare pullo, infatti in francese sono conosciuti come poel), vocabolo che deriva dalla lingua fufulde che significa “nuovo”.

Nel passato i fulani e gli agricoltori vivevano in armonia. I primi, grazie alle loro mandrie, fertilizzavano i campi dei secondi e offrivano latte e carne. In cambio ricevevano grano e altri prodotti agricoli. Con il passare degli anni questa pacifica convivenza è venuta meno. Anzi, si è trasformata in guerra e questo anche a causa dei cambiamenti climatici, sviluppo e incremento delle aree coltivabili da una parte e l’aumento delle mandrie dall’altra.

Questo conflitto d’interessi ha portato a scontri importanti un po’ ovunque, non solo in Nigeria, ma anche in tutto il Sahel, con la differenza sostanziale che in nel colosso africano gli agricoltori sono per lo più di religione cristiana, mentre i fulani sono musulmani. Gli Stati più colpiti da questa faida sono: Benue, Taraba, Nasarawa e Plateau, che si trovano al centro della Confederazione nigeriana.

Da qualche anno esiste un progetto del Mercy Corp, finanziato dal British Department for International Development che consiste nel preparare i capi locali a sedare e a prevenire i conflitti tra le due comunità . Il programma prevede, oltre a migliorare le relazioni tra i contadini e i pastori nomadi, la creazione attività comuni, come l’allevamento di api e la produzione di miele, la coltivazione di cassava e riso, la costruzione di mercati comuni per la compravendita delle reciproche merci. Ovviamente non è stato possibile includere tutti nel progetto, ma coloro che hanno aderito, hanno capito che una collaborazione reciproca è più proficua che combattersi reciprocamente.

Molti analisti e Organizzazioni umanitarie sono convinti che il conflitto tra pastori nomadi e contadini sia stato molto trascurato negli ultimi anni dal governo centrale a causa dei continui attacchi dei sanguinari Boko Haram nel nord-est del Paese e anche per la recessione, dovuta al crollo del prezzo del petrolio.

Miliziani Boko Haram

Miliziani Boko Haram

I terroristi locali Boko Haram rendono ancora insicuro il nord-est della Nigeria; solo pochi giorni fa un kamikaze ha ucciso almeno nove civili a Maiduguri, il capoluogo del Borno State, mentre nel vicino Ciad sono morti otto militari, altri diciotto sono stati feriti, durante violenti scontri con terribili miliziani. Un portavoce delle forze armate ciadiane ha sostenuto che durante gli scontri sarebbero stati uccisi centosessantadue adepti della setta jihadista e che sei vetture e molte motociclette sarebbero state distrutte dai soldati.

Il soldati del Ciad fanno parte delle truppe interforze per combattere i Boko Haram. Il governo di N’Djamena ha minacciato domenica scorsa di ritirare i propri uomini da tutte le operazioni di pace in Africa, per la mancanza di finanziamenti da parte di Paesi stranieri. In Mali le truppe ciadiane sono le più numerose nel contesto della Missione multidimensionale integrata delle Nazioni Unite in Mali (MINUSMA): sono sul campo con millenovecento uomini.

Dal 2009 ad oggi i terroristi Boko Haram hanno ucciso oltre ventimila persone, più di due milioni hanno dovuto lasciare le loro case, cercando rifugio nei Paesi limitrofi o in campi per sfollati.

Ancora oggi la situazione in molte parti nel nord-est della Nigeria non è tranquilla. Le incursioni dei terroristi, anche se sporadiche, rendono insicure molte zone; eppure il Camerun continua ad espellere rifugiati nigeriani con la forza, malgrado Nigeria, Camerun e l’UNHCR avessero siglato un accordo all’inizio di marzo, nel quale è stato specificato: “Il ritorno dei rifugiati deve essere assolutamente volontario”.

Martedì notte sono stati portati oltre confine ottocentottantasette persone, per lo più minori, da soldati camerunensi su camion messi a disposizione dall’esercito nigeriano e dalla polizia di Yaounde. Il governo del Camerun ha affermato che si trattava di ritorni in patria assolutamente volontari. (http://www.africa-express.info/2017/03/22/motivi-di-sicurezza-il-governo-del-camerun-espelle-oltre-2500-rifugiati-nigeriani/).

Oltre ottantacinque mila nigeriani si sono rifugiati nel vicino Camerun a causa degli incessanti attacchi dei Boko Haram. Da gennaio ad oggi, undicimila di loro sono ritornati nel loro Paese. Difficile capire quanti siano stati forzati ad andarsene e quanti abbiano effettuato una scelta volontaria.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

 

 

 

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Nigeria, a mille donne, vittime dei Boko Haram, capre in dono per poter ricominciare

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Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 14 luglio 2017

La FAO, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, ha distribuito 3600 capre a un migliaio di donne che soffrono la fame nel nord della Nigeria. Un aiuto importante d’emergenza per chi vive nella regione dove il cibo scarseggia e poter consumare anche un solo pasto al giorno è già considerato un lusso. Ora almeno queste madri di famiglia avranno nuovamente un piccolo gregge. E’ costume del luogo che le donne si occupino degli animali della casa. La maggior parte delle famiglia hanno perso il bestiame dopo l’insurrezione dei Boko Haram; molti animali sono stati rubati, altri sono andati persi durante la fuga, lasciando così le famiglie senza risorse. Molte donne sono rimaste sole con i loro figli, perché i loro mariti sono stati barbaramente ammazzati dai miliziani della setta, altri sono rimasti invalidi, altri ancora hanno abbandonato la famiglia, molti nuclei familiari sono stati anche divisi durante la fuga.

Della “distribuzione d’emergenza” – così è stata denominata la distribuzione delle capre –  hanno beneficiato soprattutto famiglie maggiormente colpite dal conflitto. Il progetto è stato realizzato grazie ad un contributo di 325.326 dollari offerto dal governo della Repubblica d’Irlanda.

Attualmente il nord-est della ex colonia britannica è flagellata da fame e condizioni di vita terribili. I Boko Haram sono sempre attivi, anche se hanno dovuto cedere molti dei territori conquistati, ma rendono ancora insicure zone molto ampie. Parecchie aree non possono essere raggiunte dalle organizzazioni umanitarie, sono completamente isolate.

Distribuzione di capre a quasi mille donne nigeriane nel nord-est del Paese

Distribuzione di capre a quasi mille donne nigeriane nel nord-est del Paese

Anche ieri, due donne kamikaze hanno ucciso dodici persone, tra loro anche un neonato: altre quaranta persone sono state ferite in una città del Camerun, poco distante dal confine con la Nigeria. Finora l’attacco non è stato rivendicato, ma si punta il dito sui soliti terroristi, molto attivi non solo in Nigeria, ma anche negli Stati limitrofi. Oltre duecentomila camerunensi sono fuggiti dal nord del Paese, spesso colpito da attacchi terroristi.

Un attacco simile si è verificato a Maiduguri, il capoluogo del Borno State, nel nord est della Nigeria, martedì notte, dove sono morte almeno quindici persone, ventuno i feriti.

Attacco Kamikaze a Maiduguri, Borno State, Nigeria

Attacco Kamikaze a Maiduguri, Borno State, Nigeria

Boko Haram, setta islamica estremista, compare per la prima volta in Nigeria nel 2009, da allora sono state uccise oltre ventimila persone e 2,7 milioni hanno dovuto fuggire dalle loro case. Anche prima del 2009 c’erano stati altri fenomeni simili. Negli anni Settata miete successo tra le masse diseredate un predicatore, Mohammed Marwa, un hausa, meglio conosciuto come Maitatsine. Con i suoi sermoni violenti contro lo Stato, corrotto e inefficiente, infiamma la folla.

Originario di Mawra, nel nord-est del Paese, in una regione che un tempo faceva parte del Camerun, sosteneva che chi leggesse un altro libro all’infuori del Corano fosse un pagano. Durante il colonialismo era stato mandato in esilio, ma subito dopo l’indipendenza era rientrato a Kanu. Era contrario alle biciclette, agli orologi, alle automobili e sosteneva che era peccato possedere più denaro del necessario per vivere.

Durante le sue prediche attaccava tutti: autorità civili e islamiche. Erano attratti dalle sue teorie e dalla sua ideologia soprattutto i giovani, diseredati e senza una speranza per il futuro- Man mano che cresceva il numero dei suoi seguaci, aumentavano anche i confronti con la polizia. Agenti e soldati, era il 1980, intervennero per sedare alcune dimostrazioni violente.  La repressione costò la vita a cinquemila persone. Fu ucciso anche Maitatsine.

Dopo la sua morte, ci furono altri sporadici tumulti nei primi anni Ottanta. In particolare i militanti di Yan Tatsine nel 1982 insorsero a Bukumkutta, vicino a Maiduguri, e a Kanu, dove molti adepti si erano trasferiti dopo la morte del leader. Intervennero le forze dell’ordine che uccisero più di tremila persone. Allora molti membri sopravvissuti si spostarono a Yola, dove, guidati da Musa Makanik, un discepolo del maestro, nel 1984 organizzarono svariati attacchi violenti.

Negli ultimi scontri ci furono un migliaio di morti e metà dei sessantamila abitanti di Yola persero la loro casa. Makanik scappò prima a Gombe, la sua città natale, dove fino al 1985 si susseguirono sanguinosi attacchi mortali, e poi in Camerun dove rimase per molti anni. Nel 2004 fu arrestato in Nigeria.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

 

 

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Nuova strage in Nigeria, attaccata una chiesa ma non dai Boko Haram

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Massimo Alberizzi FrancobolloDal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 6 agosto 2017

Un’altra strage in una chiesa in Nigeria ma questa volta sembra che gli assassini non siano i militanti i terroristi di Boko Haram, ma piuttosto sembra che si tratti di una faida tribale o economica. L’attacco è avvenuto infatti a Ozumbulu, nello Stato Anambra nella Nigeria meridionale, l’Anambra State, abitato prevalentemente dagli ibo, un’etnia a forte maggioranza cristiana. I morti sono almeno 12 ma i feriti molti di più, alcuni dei quali in bilico tra la vita e la morte.

Nigeria chiesa attaccata

La dinamica dell’attacco non è chiara. Alcuni testimoni hanno raccontato che alle 5.45 del mattino, mentre stava per cominciare la prima messa domenicale, cinque uomini mascherati sono entrati nella chiesa di San Filippo e hanno ammazzato a bruciapelo un paio di persone. Stavano per andarsene ma poi sono tornate indietro sparando all’impazzata sulla folla dei fedeli.

Fino a tarda sera nessuno aveva rivendicato l’attacco anche se alcuni media locali hanno subito attribuito la responsabiità ai terroristi di Boko Haram.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

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Nigeria: Buhari malato a Londra, terrorismo e corruzione continuano

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Cornelia I. Toelgyes Rov 100Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 18 agosto 2017

Tre kamikaze si sono fatti esplodere martedì nel nord-est della Nigeria, uccidendo ventisette persone e ferendo altre ottantatré, ovviamente il bilancio è ancora provvisorio. Gli attentati non sono ancora stati rivendicati, ma portano l’evidente firma dei sanguinari terroristi Boko Haram.

Martedì mattina una donna si è fatta esplodere vicino ad un mercato di Maiduguri, capoluogo del Borno State, che è stato teatro di moltissimi attentati simili negli ultimi anni. Altri due attacchi, sempre ad opera di due giovani donne suicide, si sono verificati all’entrata di un campo per sfollati non lontano dalla città.

Attacco kamikaze a Maiduguri, capoluogo del Borno State, Nigeria

Attacco kamikaze a Maiduguri, capoluogo del Borno State, Nigeria

Altri due attentati si sono verificati lunedì notte nell’Adamawa State, sempre nel nord-est della ex colonia britannica. Gli abitanti delle comunità Nyibango e Muduhu sono fuggiti dopo l’arrivo dei miliziani, che hanno saccheggiato la case, portando via le provvigioni di cibo e poi le hanno incendiate. Yusuf Muhammed, responsabile del governo locale di Madagali, ha ricordato che solo pochi giorni prima un attacco simile è stato messo in atto a Mildu,  un villaggio nelle vicinanze degli altri due. Durante tale incursione dei Boko Haram sono state uccise sette persone. Certo, interessa poco il destino di questa gente, la lotta alla ricerca fabbisogno quotidiano, la miseria che li spoglia persino della loro identità.

Il governo nigeriano non è ancora assolutamente in grado di garantire protezione alla popolazione civile. Dal mese di giugno ad oggi sono state barbaramente ammazzate centoquarantatré persone, senza contare i morti di martedì.

Muhammadu Buhari, che ha vinto le elezioni presidenziali nel 2015 a più riprese ha fatto sapere che la distruzione totale del gruppo terrorista era vicina. Intanto il tempo è passato e dal 2009, anno nel quale sono comparsi per la prima volta i Boko Haram, oltre ventimila persone hanno perso la vita, 2,3 milioni hanno dovuto lasciare le loro radici, i loro villaggi, ed ora i più sono senza lavoro, allo stremo. Molti bambini e giovani non possono frequentare le scuole, il servizio sanitario è carente, a volte addirittura inesistente. I giovani sono disoccupati, molte donne sono costrette a prostituirsi pur di portare un pezzo di pane a casa.

Muhammadu Buhari, presidente della Ngeria

Muhammadu Buhari, presidente della Ngeria

Mentre Buhari si trova a Londra da oltre novanta giorni per terapie mediche – non è dato di sapere di quale patologia soffra, perché la sua malattia viene custodita come un segreto di Stato – i suoi oppositori chiedono le sue dimissioni immediate. Da tempo gira in rete l’hashtag #ResumeOrResign e i cittadini chiedono maggiori dettagli sull’assenza del presidente, trasparenza sulla sua malattia, ma il partito al potere, l’ All Progressives Congress, e Yemi Osinbajo, il vicepresidente, che da mesi ha in mano il timone del Paese, tacciono. In un comunicato di pochi giorni fa Buhari ha evidenziato: “Mi sento bene, sono pronto per tornare a casa, ma sono in mano ai medici. Ho imparato ormai che devo obbedire e non solo pretendere di essere obbedito”. Difficile crederci, visto che Buhari è un ex militare, che ha organizzato un colpo di Stato del 1983.

Sta di fatto che da quando l’ex putschista è al potere, la situazione economica generale nel Paese è peggiorata, malgrado le sue promesse pre-elettorali, Difatti nel 2016 oltre 3,7 milioni di nigeriani hanno perso il loro posto di lavoro. Un Paese ricco di petrolio, ma con la corruzione che si espande come la peste, e dove una grande fetta della popolazione vive in povertà estrema.  

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Solo due giorni fa è stato attaccato l’edificio di Abuja dell’Economic and Financial Crimes Commission (EFCC)  (Commissione contro i crimini di corruzione economica e finanziaria) da alcuni uomini armati. Fortunatamente sono stati fermati dal personale addetto alla sicurezza, ma hanno lasciato un biglietto con minacce di morte indirizzato a Ishaku Sharu, uno degli investigatori capo della commissione. Sharu sta attualmente indagando su alcuni politici e ex militari sospettati di essere coinvolti in casi di corruzione.
Lo scorso mese di giugno un altro membro dell’ufficio anti-corruzione di Port Harcourt, capoluogo del Rivers State, è stato ferito da alcuni proiettili (http://www.africa-express.info/2017/06/30/nigeria-tra-corruzione-miseria-e-boko-haram/).

Da giorni alcune centinaia di residenti delle comunità di Belema and Offoin-Ama nel Rivers State stanno bloccando gli impianti petroliferi della Shell ad Akutu Toru nel Delta del Niger, chiedendo posti di lavoro e infrastrutture. Il Delta del Niger rappresenta la cassaforte della Nigeria, perché ricchissima di oro nero, eppure la maggior parte della popolazione non ha mai tratto beneficio dall’estrazione del greggio. Anzi in cambio ha ricevuto solo miseria e devastazione ambientale.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

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Niger forti piogge, morti, migliaia in fuga, nessun piano d’emergenza

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Africa ExPress
Niamey, 30 agosto 2017

Il Niger è in stato d’allerta. Lo scorso fine settimana un nubifragio si è abbattuta sulla capitale e il suo hinterland.  Le autorità comunali hanno fatto sapere che nel giro di poche ore sono cadute cento millimetri di pioggia. Sono state colpite in modo particolare le periferie e migliaia di persone sono state evacuate a cause di forte inondazioni che ne sono seguite. Sono crollate case e muri, seppellendo anche un padre con i suoi figlioli.

Soumana Ali Zataoua, governatore della regione di Niamey, e Abdoulaye Bako, direttore della protezione civile nazionale, hanno invitato le persone di abbandonare le loro case nelle zone allagate. Bako ha fatto notare che la zona vicino al letto del corso d’acqua Gountou-Yéna, in secca da tempo immemorabile, è particolarmente colpita. Il fiume, situato proprio al centro della capitale, si sta appropriando dei suoi diritti. La natura non fa sconti.

La forte inondazione nel Niger ha provocato il blocco di molte strade

La forte inondazione nel Niger ha provocato il blocco di molte strade

Sempre secondo il direttore della protezione civile nazionale, la cause delle inondazioni sarebbero i canali di scolo perennemente ostruiti.

La gente è disperata, molti hanno perso tutto, la casa, i loro averi e i soldi. Non sa dove andare. Non esistono nè un piano di evacuazione, tantomeno centri di accoglienza. Le autorità hanno suggerito alla popolazione colpita di rifugiarsi temporaneamente nelle scuole. Il governo ha promesso di provvedere quanto prima all’approvvigionamento di cibo, mentre le Organizzazioni Non Governative porteranno coperte, brandine e quant’altro.

Da giugno ad oggi sono morte quarantaquattro persone e sessantottomila  sono state colpite in tutto il Paese a cause delle forti piogge. Le Nazioni Unite in maggio ha avvisato le autorità nigerine del rischio di nuove inondazioni e il governo insieme ai suoi partner aveva fatto sapere di aver elaborato un piano di sostegno per 6,5 milioni di dollari. Evidentemente tali misure non sono ancora state messe in atto.

Lo scorso anno le zone di Agadez e Tahoua erano ugualmente state colpite da forti inondazioni. Allora erano morte una cinquantina di persone, centocinquantamila hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni. Ed ora un nuovo disastro nella capitale, che conta oltre un milione di abitanti e nessun piano di emergenza era pronto sul tavolo dei responsabili. L’Unione Europea forse dovrebbe investire nello sviluppo dei Paesi africani e non nella sicurezza. Le popolazioni già tanto provate necessitano di futuro, non di armi.

Africa Express

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Altro focolaio di guerra in Nigeria: i pastori fulani attaccano i contadini

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Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 9 settembre 2017

Venerdì mattina all’alba un folto gruppo di uomini armati  ha attaccato il villaggio di Ancha, nell’area del governo locale di Bassa, nel Plateau State, centro-nord della Nigeria, uccidendo almeno diciannove persone, tra loro anche sei bambini, oltre a sette uomini e sei donne. Altre cinque persone sono state ferite.

La polizia di Jos, il capoluogo del Plateau State, non ha ancora terminato gli accertamenti, ma finora tutti gli indizi portano ai pastori semi-nomadi fulani; si sarebbero vendicati dell’omicidio di un ragazzino, prima sparito, poi trovato morto. Gli abitanti del villaggio erano stati ritenuti responsabili prima della sparizione e poi dell’uccisione dell’adolescente dai pastori nomadi. Per questo delitto sono state arrestate già cinque persone.  Non così per quanto riguarda la strage di venerdì mattina.

Pastore semi-nomade fulani con fucile automatico

Pastore semi-nomade fulani con fucile automatico

Muhammadu Buhari, il presidente della ex colonia britannica, ha richiamato tutte le parti interessate – i residenti, contadini stanziali, per lo più cristiani, e i fulani, pastori semi-nomadi musulami, giunti nella zona nel XVII secolo provenienti dal Mali – alla calma e all’ordine, per evitare nuovi scontri.

Molti analisti e numerose organizzazioni umanitarie sono convinti che il conflitto tra pastori nomadi e contadini sia sempre stato sempre sottovalutato in questi anni dal governo centrale, eppure, come si evince da un rapporto di SB Morgan Intelligence consulting, negli ultimi vent’anni sono morte tra cinque a diecimila persone durante gli scontri tra agricoltori residenti e i pastori semi-nomadi. Nella pubblicazione della SB le milizie dei fulani sono da ritenersi più pericolose dei terroristi Boko Haram. E anche secondo il database di Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED) l’undici percento delle morti di civili in Africa sono causati da conflitti con pastori.

In Nigeria, dove i sanguinari  jihadisti continuano indisturbati o quasi i loro attacchi, alcuni residenti hanno fatto sapere che spesso non riescono a distinguere i terroristi Boko Haram dai miliziani fulani, che da anni non combattono più con machete o forconi, sono invece armati di kalashnikov (AK 47s) e altri fucili automatici di ultima generazione e si presentano come gruppo ben organizzato.

Muhammadu Buhari, presidente della Ngeria

Muhammadu Buhari, presidente della Ngeria

Garus Gololo, presidente di un’associazione di bestiame del Benue State, nell’est del colosso africano, ha sottolineato che spesso gruppi di fulani stranieri arrivano dal Mali, Senegal, Ciad e Niger, attraverso le foreste, rotte sconosciute o quasi, distruggono interi villaggi, uccidono i residenti e poi spariscono nuovamente.

Sono in molti ad aver perso la pazienza e la fiducia nel governo, incapace di contrastare questo conflitto, soprattutto per quanto concerne “l’invasione straniera” di fulani.

I fulani hanno origini antiche. Si ipotizza che siano i discendenti di una popolazione preistorica del Sahara, immigrata in seguito nel Senegal, per poi spostarsi verso l’anno 1000 d.C. lungo le rive del fiume Niger, alla ricerca di nuovi pascoli per le loro mandrie. A loro si deve la diffusione della religione islamica nell’Africa occidentale. Vivono in un territorio che va dalle coste dell’Oceano Atlantico a quelle del Mar Rosso.

Loro stessi si chiamano con il nome “fulbe” (singolare pullo, infatti in francese sono conosciuti come poel), vocabolo che deriva dalla lingua fufulde che significa “nuovo”.

Nel passato i fulani e gli agricoltori vivevano in armonia. I primi, grazie alle loro mandrie, fertilizzavano i campi dei secondi e offrivano latte e carne. In cambio ricevevano grano e altri prodotti agricoli. Con il passare degli anni questa pacifica convivenza è venuta meno. Anzi, si è trasformata in guerra e questo anche a causa dei cambiamenti climatici, sviluppo e incremento delle aree coltivabili da una parte e l’aumento delle mandrie dall’altra.

Questo conflitto d’interessi ha portato a scontri importanti un po’ ovunque, non solo in Nigeria, ma anche tutto il Sahel, con la differenza sostanziale che in nel colosso africano gli agricoltori sono per lo più di religione cristiana, mentre i fulani sono musulmani. Gli Stati più colpiti da questa faida sono: Benue, Taraba, Nasarawa e Plateau, che si trovano al centro della Confederazione nigeriana.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

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Missionario italiano rapito in Nigeria ma in una zona lontana dai Boko Haram

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Africa ExPress
Abuja, 13 settembre 2017

Un sacerdote missionario italiano, Maurizio Pallù, è stato rapito in Nigeria ieri mattina, mentre si recava in macchina verso Benin City, nell’Edo State, Nigeria. Lungo la strada, l’autovettura è stata bloccata da un gruppo di uomini armati. Dopo aver derubato gli altri quattro compagni di viaggio di Pallù, quattro nigerinai, il commando ha portato con sé solamente il religioso italiano.

Padre Pallù è in Nigeria da tre anni, dove presta la sua opera nella diocesi di Abuja. E’ nato sessantatrè anni fa a Firenze e nel 1971 ha intrapreso il cammino catecumenale. Nel 1977 si laurea in storia e dopo qualche anno parte come missionario laico per un periodo di undici anni. Alla morte del padre, nel 1988, entra nel seminario “Redemptoris Mater” di Roma e nel 1991 viene ordinato presbitero. Dopo aver prestato servizio in due parrocchie romane, viene inviato nei Paesi Bassi, a Heerhurgowaart, nella Diocesi di Haarlem. Nella sua esperienza di missionario itinerante, ha conosciuto molte persone e popoli, esperienza che gli permette di inserirsi bene in qualsiasi contesto.

Maurizio Pallù, il sacerdote italiano rapito in Nigeria

Maurizio Pallù, il sacerdote italiano rapito in Nigeria

Il sacerdote appartiene alla diocesi di Roma. Non si esclude nessuna pista, nemmeno quella dei terroristi Boko Haram, anche se la zona dov’è avvenuto il sequestra è abbastanza lontana da quella dove operano i terroristi islamici. Azioni di questo genere vengono effettuate da criminali comuni che, dopo il pagamento di un riscatto, cospicuo se di tratta di un bianco, liberano le loro vittime sane e salve. Due archeologi tedeschi, rapiti all’inizio dell’anno sono stati liberati dopo pochi giorni di prigionia

nigeria_sm_2016All’inizio di settembre è stato sequestrato un sacerdote cattolico nigeriano, Cyriacus Onunkwo, nell’Imu State, assassinato barbaramente il giorno dopo, mentre a Benin City è stato rapito Joseph Osayomore, un musicista, la scorsa settimana, dopo la sua performance nel Royal Palace della città. Nell’aprile scorso, la stessa sorte è toccata ad un gesuita nigeriano, Samuel Okwuidegbe, sempre nell’Edo State, e lo scorso 27 settembre, a Lawrence Adorolo, parroco della chiesa di San Benedetto di Okpella. Solo qualche giorno fa criminali armati hanno preso in ostaggio il direttore del parco naturale di Ogba, a Benin City, uccidendo tre poliziotti.

L’Edo State è considerato ormai un’area ad alto rischio, dove i rapimenti si stanno moltiplicando in modo preoccupante. La mancanza di lavoro, la povertà, la galoppante corruzione, che impedisce una concreta pianificazione per sviluppo e la crescita economica delle comunità sono certamente alla base di questi atti criminali.

Gli abitanti dell’Edo State, in particolare i cittadini di Benin City, hanno chiesto che l’attuale capo della polizia venga rimosso dal suo incarico quanto prima, proprio per i continui sequestri. Il governatore dello Stato, Godwin Obaseki, ha raccomandato di non negoziare con i criminali, promettendo di trovare una soluzione per questa piaga. Ma finora non sono state prese le misure necessarie e per coloro ce sono ancora nelle mani dei loro aguzzini sarà necessario pagare riscatti ingenti, come è stato sempre fatto finora.

Intanto la Procura di Roma ha aperto un fascicolo per il reato di sequestro ai fini di terrorismo. Il caso è stato affidato al Pubblico ministero Sergio Colaiocco.

Afrixa ExPress

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Nigeria, quattro missionari britannici sequestrati nel Delta del Niger

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Africa ExPress
Abuja, 18 ottobre 2017

Quattro missionari britannici, un medico, sua moglie e altri due uomini, sono  stati sequestrati venerdì scorso nel Delta State, nel sud della Nigeria, ma la notizia è trapelata solamente oggi.

Andrew Aniamaka, un portavoce della polizia del Delta State, ha fatto sapere che le quattro persone sono state rapite verso le due della notte tra venerdì e sabato da un gruppo di uomini armati dalla Comunità di Enukorowa, situata nel governo locale di Burutu.  Animaka ha sottolineato che la polizia ha individuato i responsabili: sono membri di un gruppo, che si fa chiamare “The Karowei”. I quattro missionari sono tutti attivi in campo medico e nella distribuzione di medicinali.

Forze armate nigeriane impegnate in controlli

Forze armate nigeriane impegnate in controlli

Il portavoce ha precisato che finora i criminali non hanno stabilito alcun contatto con le forze dell’ordine e non è stato richiesto alcun riscatto. Finora il Foreign Office non ha rilasciato alcun commento, ma raccomanda di non recarsi nella sua ex colonia se non è strettamente necessario per i continui rapimenti,  anche di stranieri, che sono ormai all’ordine del giorno. Generalmente le vittime vengono rilasciate dietro il pagamento di un cospicuo riscatto.

Il Delta del Niger è una delle zone più ricche di greggio. Per anni è stato anche teatro di insurrezioni da parte di vari gruppi che protestano contro la devastazione sociale e quella ambientale causate dall’estrazione dell’oro nero. Lo scorso anno i “Niger Delta Avengers” avevano effettuato parecchi sabotaggi agli impianti petroliferi, mettendo in serie difficoltà l’economia del Paese, basata principalmente sul petrolio (http://www.africa-express.info/2016/05/09/delta-del-niger/). E poco più di un anno fa durante un attacco sono morti anche tre tecnici dell’ENI http://www.africa-express.info/2016/07/02/attacco-a-tecnici-delleni-in-nigeria-tre-morti-tra-cui-un-italiano/.

intanto Maurizio Pallù, un missionario italiano, sequestrato giovedì scorso, è stato rilasciato nemmeno ventiquattro ore fa. (http://www.africa-express.info/2017/10/14/missionario-italiano-rapito-nigeria-ma-una-zona-lontana-dai-boko-haram/).

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Ammazzato in Nigeria un ostaggio britannico sequestrato tre settimane fa

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Africa ExPress
Abuja, 6 novembre 2017

Un missionario britannico, rapito tre settimane fa in Nigeria, nel Delta State, è stato brutalmente ammazzato, mentre i suoi tre compagni di sventura sono stati liberati.

Il sequestro è avvenuto il 13 ottobre scorso (http://www.africa-express.info/2017/10/19/nigeria-quattro-missionari-britannici-sequestrati-nel-delta-del-niger/), inizialmente erano trapelati poco dettagli e il rapimento dei quattro britannici non era nemmeno stato subito confermato da Londra.

 Ian Squire, il missionario britannico ammazzato in Nigeria


Ian Squire, il missionario britannico ammazzato in Nigeria

Le circostanze dell’uccisione di Ian Squire sono ancora poco chiare. Lui, David e Shirley Donovan e Alanna Carson, sono stati portati via con la forza nelle prime ore del 13 ottobre dalla loro abitazione nella Comunità di Enukorowa, situata nel governo locale di Burutu, Delta State. Tutti e quattro operavano nel campo medico e distribuivano gratuitamente medicinali alla popolazione rurale, poverissima in quell’area.

La liberazione della coppia Donovan e della Carson è stata possibile grazie ai negoziati delle autorità nigeriane, se il loro compagno sia stato ammazzato durante la prigionia oppure solamente alla fine, nella fase delicata del rilascio non è ancora stato reso noto. Un portavoce del Foreign Office ha  detto in un comunicato: “Supportiamo le famiglie di quattro nostri concittadini, sequestrati lo scorso 13 ottobre in Nigeria, uno di loro è stato ucciso in circostanze tragiche”.

Finora non è dato di sapere chi siano i responsabili del rapimento dei quattro, dell’uccisione di Squire.Poco giorni dopo il loro sequestro, la polizia aveva puntato il dito su un gruppo che si fa chiamare “The Karowei”, notizia che oggi non è stata però confermata.

Niger Delta Avengers

Niger Delta Avengers

Il 3 novembre il gruppo Niger Delta Avengers (NDA), attivo nel Delta del Niger, ha interrotto il cessate il fuoco; riprenderà le ostilità, che lo scorso anno ha quasi messo in ginocchio l’economia nigeriana, basata principalmente sull’oro nero. Il giorno seguente la Coalizione dei militanti del Delta del Niger ha sottolineato che questa volta andranno avanti senza pietà alcuna. (http://www.africa-express.info/2017/06/30/nigeria-tra-corruzione-miseria-e-boko-haram/)

Africa ExPress

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Nigeria, l’inferno da dove vengono gli schiavi venduti all’asta in Libia

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Cornelia I. Toelgyes Rov 100

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 20 novembre 2017

Il mercato degli schiavi, persone battute all’asta in Libia, ha suscitato grande scalpore nel mondo intero dopo la messa in rete di un filmato della CNN nei giorni scorsi. E sì, era necessario un video per smuovere le coscienze. Ciò che hanno raccontato finora i superstiti o i sopravvissuti ai lager in Libia evidentemente non era sufficiente.

Eppure tutti sapevano della vergognosa vendita di schiavi. Lo scorso aprile l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni denunciava: “I giovani africani diretti in Europa venduti per 200-500 dollari”. Nel suo rapporto OIM non tralascia nulla. Nei centri di transito a Niamey o Agadez in Niger, gli operatori di OIM hanno ascoltato le testimonianze di moltissimi giovani sulla via di ritorno dalla Libia. Non solo libici sono coinvolti in questi loschi, disumani affari ma spesso anche africani – soprattutto nigeriani e ghanesi – collaborano con i boss della nostra ex colonia. Altri migranti, invece, sono costretti a svolgere attività come guardiani oppure  prestare assistenza ai trafficanti nei mercati degli schiavi, dove non sono in “vendita” solamente uomini, anche donne, che vengono ceduti a singoli individui.

Migranti africani in Libia

Migranti africani in Libia

Questa volta ha protestato persino l’Unione Africana. In un comunicato datato 18 novembre, il commissario dell’UA, il ciadiano Moussa Faki Mahamat, ha espresso l’indignazione di questa Istituzione e la ferma condanna di queste pratiche, come ha già manifestato in un precedente annuncio il presidente dell’UA, Alpha Condé. Il commissario ha inoltre sollecitato la Commissione per i diritti umani dell’Unione ad aprire immediatamente un’inchiesta in supporto alle misure annunciate dalle stesse autorità libiche.

Chissà se almeno uno dei tanti leader africani che oggi si scandalizzano delle violenze che i loro connazionali subiscono nei lager libici, si sarà chiesto perché queste persone si trovano lì. Perché mai avranno lasciato il proprio Paese, pur sapendo che con questo viaggio rischiano la propria vita in ogni momento, non solo durante la traversata in mare. Spesso molti di loro non arrivano nemmeno a questa ultima fase del loro itinerario. 

Mentre il Burkina Faso ha già richiamato il proprio ambasciatore da Tripoli, il governo libico respinge tutte le accuse. Anzi, Mohammed Besher, a capo di Anti-Illegal Immigration Department (AIID), in un comunicato ha fortemente contestato le accuse che sono state rivolte al suo Paese. “Sono tutte menzogne, montature create ad hoc. Il mio Dipartimento è pronto a cooperare con le delegazioni dei vari Paesi, affinchè possano andare di persona a vedere i propri connazionali nei centri libici, prima che vengano rimpatriati.
Besher ha aggiunto che i migranti stessi sono i primi ad aver infranto la legge, entrando a migliaia e migliaia nel  Paese in modo illegale. Il flusso migratorio è un problema globale, non si possono attribuire tutte le colpe alla Libia. Il ministro degli Esteri, Mohamed Taher Siala, ha fatto sapere se le accuse dovessero avere un riscontro, tutte le persone coinvolte saranno punite secondo la legge.

Molti nigeriani lasciano il gigante dell’Africa, dove sopravvivere non è sempre facile.  Nel nord-est del Paese regna ancora il terrore per i molteplici attacchi dei terroristi di Boko Haram. Pochi giorni fa sono morte almeno diciotto persone a Maiduguri, il capoluogo del Borno State, trenta i feriti, dopo quattro diversi attentati kamikaze. Mentre ieri sono stati decapitati sei contadini mentre lavoravano nei campi. I miliziani sarebbero arrivati in sella alle loro motociclette e avrebbero sequestrato sette agricoltori. Il più anziano tra loro è stato graziato dai feroci attentatori, ma ha dovuto assistere all’esecuzione dei suoi colleghi. 

Si stima che dal 2009 ad oggi siano decedute oltre ventimila persone e che più di due milioni di cittadini abbiano dovuto abbandonare le loro case, i propri villaggi a causa dei jihadisti. Più della metà delle scuole sono state chiuse nel solo Borno State o perché distrutte, o perché lo Stato non è in grado di proteggere i ragazzini. Bambini e bambine che vengono privati di un loro diritto fondamentale: il diritto all’educazione.

Miliziani Boko Haram

Miliziani Boko Haram

Anche le continue lotte tra agricoltori e i pastori semi-nomadi, che spesso vengono sottovalutate dal governo centrale, sono causa di preoccupazione. Da un rapporto di SB Morgan Intelligence consulting, negli ultimi vent’anni sono morte tra cinque a diecimila persone durante gli scontri tra agricoltori residenti e i pastori semi-nomadi. Nella pubblicazione della SB le milizie dei fulani sono da ritenersi più pericolose dei terroristi Boko Haram. E anche secondo il database di Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED) l’undici percento delle morti di civili in Africa sono causati da conflitti con pastori.

A Lagos, la capitale economica della Nigeria, si sono verificati nuovamente scontri tra le forze dell’ordine e centinaia di persone senza tetto. Sono stati evacuati Otodo Gbame e Itedo, due villaggi “abusivi”, abitati soprattutto da pescatori. Sono stati praticamente rasi al suolo, e i residenti ora sono  costretti a dormire per strada: hanno perso quel poco che possedevano e ogni possibilità di sostentamento. Durante lo sgombero sarebbero morte undici persone, altre diciasette sono state date per disperse.

Una Corte nigeriana aveva emesso una sentenza esemplare qualche mese fa, in particolare per quanto concerne il villaggio di Otodo Gbame, chiedendo allo Stato di Lagos di risarcire gli abitanti. Risarcimento che quella povera gente attende ancora oggi.

All’inizio di questo mese i Niger Delta Avengers, un gruppo attivo nel Delta del Niger, che lo scorso anno ha dato del filo da torcere all’economia del Paese, basato principalmente sull’oro nero, ha dichiarato di voler riprendere le ostilità,

Muhammadu Buhari, il presidente della Nigeria, ha ringraziato il suo popolo per le preghiere e la benevolenza espressa nei suoi confronti durante la sua lunga malattia. Ha promesso di occuparsi nuovamente a tempo pieno di tutte le problematiche del Paese, in particolare della lotta contro la corruzione, ormai una piaga endemica, presente a tutti livelli della popolazione. Secondo Buhari, l’economia sarebbe in leggera ripresa. Bisognerà attendere le prossime statistiche. Alla fine dell’anno scorso la disoccupazione era salita al 14,2 per cento e ciò significa che ufficialmente 11,9 milioni di nigeriani erano in cerca di lavoro.

E sembra assai curioso che durante i funerali delle ventisei ragazze nigeriane decedute durante la traversata non abbia presenziato nessun rappresentante ufficiale del governo di Abuja.

Il sessanta per cento dei bambini nigeriani sotto i cinque anni rischia un ritardo nello sviluppo, dovuto a malnutrizione. Secondo l’UNICEF (il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia) nel nord-est del Paese quattrocentocinquanta mila piccoli sono in pericolo di malnutrizione grave.

Anche quest’anno la Nigeria occupa il terzo posto nel Global Terrorism Index, anche se le morti causate da attacchi terroristici sono diminuite. Buhari dovrà rimboccarsi le maniche, se vuole sollevare le sorti del Paese e fare sì che i giovani possano vivere serenamente nella loro terra.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes 

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Partnership Europa-Africa 1: piano Marshall e progetto Erasmus

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Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
Bruxelles, 25 novembre 2017

“Il destino dell’Africa non può che essere nelle mani degli africani. Ma un’Europa amica deve fare la sua parte”. Così Antonio Tajani, il 22 novembre ha aperto la Conferenza di alto livello sul partenariato tra l’Unione europea e il continente africano.

Emiciclo del Parlamento europeo (© Sandro Pintus)

Emiciclo del Parlamento europeo. l’Unione Europea propone un piano Marshall (© Sandro Pintus)

A dieci anni dall’adozione della strategia comune Africa-Ue, il presidente del Parlamento europeo propone un piano Marshall attraverso il quale intende aiutare i Paesi africani a creare posti di lavoro, attraverso investimenti alle piccole e medie imprese, sviluppo delle competenze e nell’educazione delle nuove generazioni e, visto il successo avuto in Europa, anche annuncia anche un progetto Erasmus.

Investimenti in vari campi

Altre priorità del partenariato sono investimenti per una scelta industriale sostenibile e un’agricoltura efficiente; fondi per fonti rinnovabili e infrastrutture, per acqua, energia, mobilità, logistica e per il digitale.

Ma occorre risolvere alcune questioni fondamentali: pace e sicurezza, governance tra cui democrazia, diritti umani, migrazione e mobilità, conservazione dell’ambiente e cambiamenti climatici.

Il continente africano visto dallo spazio. (Courtesy NASA)

Il continente africano visto dallo spazio. (Courtesy NASA)

Partenariato su basi paritarie

Per la prima volta il presidente del Parlamento europeo e la rappresentante per la Politica estera europea, Federica Mogherini, non hanno parlato di cooperazione come quella intesa dei passati decenni ma della realizzazione di un nuovo partenariato realizzato su basi paritarie.

L’Africa viene inserita a tutti gli effetti nell’agenda politica dell’Unione europea. L’incontro del 22 novembre è servito a mettere le basi in previsione del summit di Abidjan, in Costa d’Avorio tra Unione africana e Ue, che si tiene il 29 e 30 novembre prossimi il cui tema è “Investire nella gioventù”.

Partnership Africa-Unione europea

Partnership Africa-Unione europea

Giovani africani come priorità

Sia per l’Africa che per l’Ue giovani sono una delle priorità in un continente che oggi ha 1 miliardo e 200 milioni di abitanti dove, secondo stime Onu, entro il 2050 è previsto il raddoppiamento della popolazione a 2,5 miliardi. Diventa però necessario affrontare e risolvere problemi enormi che vanno dai cambiamenti climatici alla desertificazione e il terrorismo.

L’Africa negli ultimi decenni ha avuto un rapido sviluppo economico con Paesi che hanno avuto una crescita del Pil superiore al 7 per cento all’anno. Questo fattore è uno dei cambiamenti in positivo del continente, oltre al lento rafforzamento delle istituzioni e dello stato di diritto. C’è però ancora molta strada da fare e per Tajani, “Portare avanti l’Africa è un obiettivo condiviso”.

Un progetto ambizioso quello dell’Ue che dovrà fare i conti con le complessità dei 54 Paesi africani, con la povertà e la fame della maggioranza della popolazione che vive con meno di un dollaro al giorno, con l’alto livello di corruzione, con le dittature plutocratiche il cui interesse è mantenere l’ignoranza e la poca partecipazione alla vita pubblica.

Per Cecile Kyenge, deputata europea di origine congolese nelle file del Partito democratico, presente alla conferenza, “l’Africa ha tutti i presupposti per diventare un continente democratico e rispettoso dei diritti umani”. L’Africa, nel bene e nel male,  è sempre più vicina e il futuro dell’Europa è sempre più legato al quel grande continente.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com
Twitter: @sand_pin

L’intervista a  Cecile Kyenge è stata realizzata da Sandro Pintus

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Partnership con l’Europa 2: migranti in Africa, schiavi in Libia

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Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
Bruxelles, 25 novembre 2017

L’inchiesta della CNN in Libia sulle aste dei migranti venduti come schiavi ha mostrato uno scenario del quale l’Unione Europea era a conoscenza. “È una situazione che si protrae da almeno due anni”, ha affermato Federica Mogherini, rappresentante degli Esteri dell’Unione.

Da sin. Hoya, Toudéra, Tajani e Mogherini (foto © Sandro Pintus)

Da sinistra, Werner Hoyer, Faustin Toudéra, Antonio Tajani e Federica Mogherini     (foto © Sandro Pintus)

Cooperazione Ue-Oim-Unhcr

“Un anno fa abbiamo firmato un accordo di cooperazione tra l’Unione europea, Organizzazione internazionale per le migrazioni e Alto commissariato Onu per i rifugiati per dare assistenza ai migranti” ha spiegato la rappresentante dell’UE.

Una collaborazione che ha permesso l’assistenza di oltre 10 mila migranti e il loro rientro volontario verso i Paesi di origine. Lo sviluppo della Libia e della regione per Werner Hoyer, presidente della Banca europea di investimento, è una priorità sia per il medio che per il lungo termine.

Chiudere i campi di detenzione

Ancora una volta si parla della chiusura dei famigerati lager libici. Il primo obiettivo dell’Ue è la chiusura dei campi di detenzione e fermare qualsiasi tipo di abuso, poi entro dicembre 2017 l’Ue vuole fare in modo che 15 mila africani possano tornare volontariamente nei loro Paesi di origine. È necessario investire “non in certe mani libiche”, ha sottolineato Tajani, e sostenere anche altri Paesi per interrompere il corridoio illegale che passa dalla Libia.

La maggior parte del lavoro svolto dall’Unione Europea nel frammentato Stato nord africano è quello diplomatico sostenuto insieme al rappresentante delle Nazioni unite per unire il Paese “ma su questo argomento i media non ne scrivono molto, non si finisce in prima pagina”,  ha detto Federica Mogherini.

Mappa migrazioni (courtesy Medu-http://www.mediciperidirittiumani.org)

Mappa delle migrazioni (courtesy Medici per i diritti umani dal rapporto “Fuggire o morire”)

L’inferno libico

Mentre Mogherini esprimeva sdegno e preoccupazione sulla situazione dei migranti nel Paese nordafricano, circa 250 camerunesi, tra i quali nove donne incinte, sono tornati in Camerun grazie a un volo organizzato dall’Oim.

“La Libia è l’inferno – hanno raccontato ai media belgi e francesi – i libici non hanno alcuna considerazione per i neri. Ci trattano come animali e violentano le nostre donne. Se qualcuno di noi si oppone gli sparano. Ci sono stati anche dei morti”.

Il problema dei centri di detenzione in Libia e la situazione dei migranti schiavi  è nell’agenda del summit che si tiene il prossimo 28 novembre ad Abidjan, in Costa d’Avorio.

Partenariato strategico contro lo schiavismo

A rafforzare le posizioni di Tajani anche Faustin Touadéra, presidente della Repubblica Centraficana, secondo il quale occorrono investimenti e un partenariato strategico rafforzato che fermi l’emigrazione verso il Sahel.

“È un nuovo tipo di partenariato e il summit di Abidjan non è la fine ma l’inizio – ha concluso Mogherini – Non possiamo ignorare i rapporti sui trattamenti umani dei migranti e come europei dobbiamo far fronte al problema dei fratelli africani che sono in schiavitù”.

(2/3 – CONTINUA)

Vedi anche:
Partnership Europa-Africa 1: piano Marshall e progetto Erasmus

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com
Twitter: @sand_pin

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Partnership Africa-Eu 3: piano da €40mld e “Mo” Ibrahim bacchetta l’Europa

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Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
Bruxelles, 28 novembre 2017

“L’Europa deve parlare con una voce forte, unica e credibile. Mentre Cina, India, Turchia e Singapore continuano a investire in Africa, all’Unione europea manca il coraggio. Il piano d’investimenti per l’Africa di 3,4 miliardi di euro, è un importante passo nella giusta direzione. Ma è lungi dall’essere sufficiente”.

Ma come fermare i migrati che vengono dall’Africa? Secondo Tajani con una strategia che permetta ai giovani di rimanere nei loro Paesi perché nessuno vuole abbandonare la propria terra. Le strategie sono: maggiori investimenti, sconfiggere il terrorismo e il cambiamento climatico, maggiore stabilità e diplomazia economica.

Ma come si può essere sicuri che i fondi stanziati vadano nelle mani giuste? “La strategia consiste anche nel controllare come vengono utilizzati i soldi” risponde.

Il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani alza il tiro sugli investimenti e conferma maggiori contributi che l’Ue destinerà per il continente africano nel prossimo bilancio pluriennale. “Il fondo d’investimenti per l’Africa sia dotato di almeno 40 miliardi. Grazie all’effetto leva e sinergie con la Banca europea d’investimento, si potrebbero mobilizzare investimenti pubblici e privati per circa 500 miliardi”.

Filo conduttore di tutta la conferenza sono stati il problema della corruzione e lo stato di diritto, la stabilità e la sicurezza dei governi africani, la creazione delle infrastrutture e le reti (dalle comunicazioni alle reti energetiche). Se il continente africano avrà un clima favorevole al business potrà attirare anche investimenti privati e il grande progetto avrà successo.

Montagna di denaro che esce illegalmente

“Viene calcolato che tra 50 e 100 mdl euro ogni anno escono dall’Africa illegalmente che significa 3-4 volte di quanto viene investito per lo sviluppo – ha sottolineato Michael Gahaler, presidente della delegazione per le relazioni con il Parlamento Pan-africano nella fase conclusiva dei lavori – Il flusso di denaro illegale che esce va bloccato insieme con tutti gli strumenti a disposizione”.

La staffilata di “Mo” Ibrahim

Ma il colpo di scena è arrivato con miliardario-filantropo sudanese Mohammed “Mo” Ibrahim che ha bacchettato l’Europa senza mezzi termini. Dopo aver confermato che è fondamentale la formazione dei giovani africani per evitare che cadano tra le braccia di Boko Haram ha confermato che i governi devono risolvere i loro problemi da soli, che senza una buona governance non c’é speranza e che è impossibile lavorare quando c’è la corruzione. Quindi è arrivata la staffilata.

“Se chiedete lo stato di diritto applicatelo, osservate la trasparenza, sanzionate la corruzione. Non posso avere trasparenza in Africa se non c’è in Europa – ha chiosato Mo” Ibrahim – E la corporate governance nelle aziende? Non si può chiederla da un lato e non averla dall’altro. Il governo Usa ha sanzionato le aziende europee con 1 miliardo di dollari per la corruzione in Africa. Perché non lo avete fatto voi? Avreste guadagnato un miliardo di dollari”.

Mohammed "Mo" Ibrahim parla alla Conferenza sulla partnership Africa-Eu

Mohammed “Mo” Ibrahim parla alla Conferenza sulla partnership Africa-Eu

Poi rivolgendosi ai Paesi africani: “Voi ragazzi dovreste ripulire i vostri governi. In questo modo potremo avere un rapporto migliore con i nostri partner europei”.

Una strada in salita

Pensando ai vari Obiang, Mugabe, Kabila e la cleptocrazia africana, la riuscita della proposta europea sembra una strada in salita. Vediamo cosa succederà al quinto summit Unione europea-Unione africana che si svolge il 29 e il 30 novembre ad Abidjan, in Costa d’Avorio.

E alla vigilia del vertice, Antonio Tajani ha confermato: “Questo vertice deve porre il continente africano, stabilmente, in cima alla nostra agenda politica. Il Parlamento europeo svolge un ruolo centrale nella definizione di un nuovo partenariato con l’Africa”.

(3/3 – Fine)

Vedi anche:
Partnership Europa-Africa 1: piano Marshall e progetto Erasmus

Sandro Pintus
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L’Africa oggi, tra fallimento della democrazia e corruzione in crescita

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sandro_pintus_francobolloSpeciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
Firenze, 3 dicembre 2017

“In un paese tipico africano, il cittadino medio non si aspetta molto dai suoi politici perché si stanca di ripetute promesse che non vengono mantenute….non si aspetta molto dai suoi politici perché si stanca di ripetute promesse che non vengono mantenute”.

Lo scrive in un editoriale pubblicato su BizNews, Prince Mashele, intellettuale sudafricano, direttore esecutivo del Centro per la politica e la ricerca, istituto di Pretoria che si occupa di analisi e sviluppo delle strategie politiche.

Lo studioso sudafricano analizza minuziosamente la situazione e la deriva politica del grande Paese africano (e di tutto il continente subdahariano): dal sogno di Nelson Mandela che con la sua presidenza era riuscito a unire il Sudafrica, ai disastri dell’attuale presidente Jacob Zuma e alla crescita esponenziale della corruzione degli ultimi anni.

Il presidente sudafricano, e l’African nacional congress (ANC), il partito al potere, sono stati accusati di corruzione e Zuma è stato condannato per aver utilizzato 215mln di rand (circa 13mln di euro) di fondi pubblici per la ristrutturazione e la “messa in sicurezza” del suo lussuoso compound a Nkandla, nella provincia sudafricana del KwaZulu-Natal.

Un tweet che mostra il compound di Jacob Zuma

Un tweet che mostra il compound di Jacob Zuma

Il capo dello stato sudafricano, dopo la condanna, continua a rimanere al suo posto e nonostante la richiesta di impeachment dell’opposizione e le 783 accuse di corruzione, traffici illeciti, riciclaggio di denaro, frode ed evasione fiscale, Zuma pare saldo al potere.

L’idea che un cittadino comune possa esprimere dubbi o mettere in discussione l’uso di denaro pubblico speso sulla casa di un re o di un capo non è africano – scrive provocatoriamente Mashele – I membri dell’ANC nel Parlamento sudafricano che hanno difeso Jacob Zuma sono veri africani”.

Dobbiamo ringraziare Zuma per averci rivelato il nostro vero carattere africano. Per averci mostrato che l’idea dello stato di diritto non fa parte di ciò che siamo e che il costituzionalismo è un concetto molto distante da noi come popolo. Come possiamo spiegare le migliaia di persone che riempiono gli stadi per applaudire un presidente che ha violato la Costituzione del suo paese e che non hanno alcuna idea su cosa sia il costituzionalismo?”

Mappa dell'Africa

Mappa dell’Africa

Secondo Mashele gli africani e i loro leader non amano copiare nulla dall’occidente. Sono felici di rimanere africani e di fare le cose “il modo africano”. In pratica la figura di un capo dello stato si avvicina sempre più a quella di un re e da sovrano si comporta con il suo Paese e con i suoi abitanti. I cittadini diventano sempre più sudditi che ammirano e applaudono il re che a sua volta aiuta la sua famiglia, il suo gruppo tribale e i suoi amici.

Tweet della manifestazione del Partito comunista sudafricano per l'arresto di Zuma

Tweet della manifestazione del Partito comunista sudafricano per l’arresto di Zuma

L’intellettuale sudafricano ricorda che l’idea di Stato come strumento per sostenere lo sviluppo del Popolo è un concetto occidentale come è occidentale il pretendere un leader affidabile. “In una situazione in cui vi è conflitto tra il leader e le leggi del paese, gli africani semplicemente modificano le leggi per proteggere il leader – continua Mashele nel suo pensiero – Essendo il nostro paese africano, non apparirà come la Germania. Il Sudafrica può essere più simile al Kenya, dove il tribalismo è il fattore centrale della controversia politica. L’idea che un presidente può essere licenziato perché un tribunale ha deciso contro di lui è occidentale. Solo il premier dell’Islanda lo fa. I leader africani non lo faranno mai”.

E come tutti sappiamo, un popolo istruito fa bene alla democrazia ma non fa comodo né a dittatori né a sovrani-presidenti, anzi, per loro l’istruzione del popolo è nociva. Infatti, Mashele afferma che “I leader africani non amano l’idea delle persone istruite, perché è difficile governare persone intelligenti. Mandela e Mbeki stessi furono corrotti dall’istruzione occidentale mentre Zuma rimane africano. La sua mentalità si allinea con quella di Boko Haram: non crede alle persone istruite, quelle che lui chiama ‘negri bravi’. Ricordiamo che Boko Haram significa ‘Contro l’istruzione occidentale’ ”.

Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe e nuovo "Goodwill Ambassador" dell'OMS

Robert Mugabe, ex presidente dello Zimbabwe

Prince Mashele asserisce che il futuro del Sudafrica sarà più simile a quello dello Zimbabwe, dove un leader come Mugabe ha più potere rispetto al resto della popolazione. E conclude che “bisogna ringraziare Jacob Zuma per aver svelato la vera Repubblica africana del Sudafrica, non un avamposto dei valori europei”.

Un ragionamento, quello di Mashele, che ci fa pensare alle ultime decadi della politica italiana con le leggi “ad personam”: dalla “salva Previti” al “lodo Alfano”; dal “legittimo impedimento” alla “legge Frattini”; dalla “depenalizzazione del falso in bilancio” al “decreto salva Rete4”. Fino al comportamento anti costituzionale che in parlamento ha visto passare la legge elettorale con la fiducia.
Forse l’Italia si sta africanizzando.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com
twitter: @sand_pin

Crediti immagini:
– mappa Africa:
Pubblico dominio, Collegamento

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Lagos, banditi rubano bagagli su jet privato durante il rullaggio

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sandro_pintus_francobolloSpeciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
Firenze, 19 dicembre 2017

Alcuni malviventi, durante il rullaggio all’hangar di un jet Bombardier Challanger 605 arrivato da Istanbul verso le 21.00 sono saliti a bordo e hanno portato via i bagagli del pilota e di una hostess.

Questa volta hanno preso di mira la linea aerea britannica Vistajet Ltd per clienti superlusso.  Nell’ex capitale nigeriana, Lagos, è successo la settimana scorsa al Murtala Muhammed international airport, il maggiore aeroporto della metropoli.

Bombardier Challanger 605 della VistaJet

Bombardier Challanger 605 della Vistajet

Il Challanger 605 della compagnia britannica è un business jet da 12 posti a sedere o 5 posti letto con un’autonomia di 7.400km. Oltre a Londra ha come scali Istanbul, Accra, Kuala Lumpur, Almaty e Dubai per far viaggiare una clientela alquanto ricca.

Probabilmente i malviventi pensavano di racimolare di più visto che l’aereo privato è tra quelli adibiti al trasporto di clienti executive ma il problema – più che il furto sulla pista di un aeroporto internazionale – è la sicurezza dello scalo nigeriano che a quanto pare ha parecchie falle.

Un'area di Lagos, metropoli di 8 milioni di abitanti

Un’area di Lagos, metropoli di oltre 8 milioni di abitanti

Secondo fonti locali, al Murtala, non è la prima volta che succede un fatto simile. A inizio 2017 alcuni banditi, durante il rullaggio di un piccolo jet hanno aperto il portellone del velivolo portando via i bagagli di alcuni passeggeri.

Altro fatto gravissimo che ha messo ancora in discussione la sicurezza dell’aeroporto è stato quando un uomo ha scavalcato la rete di recinzione dello scalo rimanendo poi nascosto alcuni giorni. È riuscito quindi a raggiungere un Boing 777, destinazione Londra, della compagnia nigeriana Med-View airlines e si è infilato nell’alloggiamento del carrello.

Murtala Muhammed international airport

Murtala Muhammed international airport

Un’inchiesta ha verificato che l’azienda responsabile della sicurezza dello scalo internazionale – l’Autorità federale nigeriana degli aeroporti – ha un solo veicolo operativo che scorta gli aeromobili durante il rullaggio e che a volte potrebbe non essere disponibile fino al piazzale d’arrivo.

Il Murtala Muhammed airport è stato inaugurato nel 1979 e solo nel settembre scorso gli è stata conferita la certificazione sulla sicurezza dalla Nigerian Civil Aviation Authority. Non sono mancate le polemiche perché secondo gli esperti non ha lo standard minimo dell’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale (ICAO), che ogni aeroporto come il Murtala dovrebbe avere riguardo alla sicurezza e la manutenzione.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com
Twitter: @sand_pin

Crediti:
– Murtala Muhammed International Airport
By Kenneth Iwelumo (http://www.airliners.net/photo//1976092/L/) [GFDL 1.2 or GFDL 1.2], via Wikimedia Commons

– Challanger 605
Markus Eigenheer
Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)

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Boko Haram attacca convoglio dell’ONU in Nigeria, quattro morti

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franco nofori francobolloDal Nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa, 19 dicembre 2017

In aggiunta alla discussa utilità degli aiuti internazionali all’Africa, che vengono spesso dirottati per saziare l’ingordigia dei suoi leader, è ora anche a rischio l’incolumità degli addetti che l’organizzazione World Food Program, delle Nazioni Unite, incarica del trasporto del cibo e di altri generi di rima necessità.

Miliziani Boko Haram

Miliziani Boko Haram

L’ultimo attacco, di cui si ha notizia solo ora, è avvenuto sabato scorso nei pressi della cittadina di Ngala, nello stato del Borno, in Nigeria e ha causato la morte di quattro persone: due autisti e i loro accompagnatori. Il convoglio, carico di aiuti umanitari, che transitava nella zona, scortato da militari nigeriani, è caduto in un’imboscata ad opera di un gruppo armato di terroristi di Boko Haram.

Le fonti ufficiali non hanno ancora fornito dettagli sulla dinamica dell’attacco né hanno saputo spiegare perché i militari di scorta non sono riusciti a reagire e a sventarlo. Lo stato del Borno è la zona più calda della Nigeria, epicentro del conflitto tra le truppe regolari e i Boko Haram che, dalla nascita del loro movimento, datata 2009, sono costati al aese oltre ventimila morti e 2 milioni e 600 mila sfollati.

Un camion della Fao, pronto a trasportare aiuti

Un camion della Fao, pronto a trasportare aiuti

La scarsa efficienza delle forze di sicurezza governative, nel contrastare l’attività dei terroristi islamici, è già stata oggetto di ripetute critiche, anche dalla stessa ONU che l’anno scorso aveva dovuto sospendere il programma di aiuti in quel territorio, in seguito di un analogo attacco in cui erano periti due addetti. Ora, oltre alla continua strage di civili, l’evento contro gli organismi internazionali di aiuto, si ripete nel grande imbarazzo delle autorità militari che solo all’inizio di questo mese avevano creduto di aver trovato la soluzione, sostituendo il comandante militare della regione, per nominarne un altro ritenuto più esperto. Questo stato di cose, fa apparire quasi grottesca la trionfale dichiarazione, rilasciata due anni fa dal governo nigeriano, secondo cui i Boko Haram erano stati “definitivamente sconfitti”.   

Per ora, i veri sconfitti, restano gli sventurati 9 milioni di abitanti della regione, privi di una protezione efficace e ridotti alla fame. Benché il governo abbia annunciato, la scorsa settimana, di aver creato un fondo di  1 miliardo di dollari per dare inizio a un’efficace e definitivo contrasto al sanguinario gruppo terroristico, lo scetticismo verso queste roboanti dichiarazioni, non si attenua. Del resto, i Boko Haram non erano già stati “definitivamente sconfitti” due anni fa? Perché, allora, sprecare inutilmente denaro pubblico?

Certo è che se i vuoti e reiterati proclami dei suoi leader, potessero per incanto trasformarsi in oro, l’Africa sarebbe il continente più ricco del mondo, sempre che le classi al potere e i loro altrettanto avidi entourage, non riescano a metterci le mani prima.

Franco Nofori
franco.Kronos1@gmail.com
@Franco.Kronos1

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Il 2017 lascia l’Africa nel caos e non si prevede un 2018 migliore: ecco la situazione

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Cornelia I. Toelgyes Rov 100Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 1° gennaio 2018

Nella Repubblica Democratica del Congo sono state uccise almeno sette persone. I cattolici avevano indetto una manifestazione di protesta contro Jospeh Kabila, il presidente, al potere dal gennaio del 2001. Il suo mandato è scaduto lo scorso anno, sembra che le prossime elezioni debbano tenersi a dicembre del 2018, almeno così è stato annunciato dal presidente della commissione elettorale qualche settimana fa. https://www.africa-express.info/2017/12/06/congo-k-popolazione-fuga-dalle-violenza-e-il-governo-arruola-ex-ribelli/

Ieri mattina le forze dell’ordine sono entrate in diverse chiese durante le celebrazioni domenicali, hanno persino interrotto una messa nella cattedrale di Kinshasa, la capitale della ex colonia belga, lanciando una bomba lacrimogena nel luogo di culto e intimando ai fedeli di uscire. Il sacerdote non ha interrotto la celebrazione e le persone hanno continuato a pregare.  

Manifestazione pacifica a Kinshasa, capitale del Congo-K

Manifestazione pacifica a Kinshasa, capitale del Congo-K

La comunità cattolica della capitale aveva organizzato una marcia pacifica in occasione dell’anniversario della firma del trattato tra maggioranza e opposizione, avvenuto, appunto il 31 dicembre 2016, grazie alla mediazione della Chiesa cattolica del Congo-K. Un accordo che, come spesso capita, non è stato applicato, e Kabila è sempre sulla sua poltrona e la sua parola d’ordine è “repressione” su tutti fronti (https://www.africa-express.info/2017/01/15/congo-k-la-firma-di-un-accordo-tra-governo-e-opposizione-non-ferma-le-violenze/.

La società civile e l’opposizione hanno accolto l’iniziativa della Chiesa, e si sono uniti alla protesta non autorizzata dalle autorità, come succede sempre ovunque nel Paese. Anche in altre città si sono svolte marce di protesta pacifiche e a Kananga nella provincia del Kasaï centrale un uomo ha perso la vita.

A Bia, nel nord del Camerun, al confine con la Nigeria, ieri mattina si è fatta esplodere una giovane donna, uccidendo una persona e ferendo altre ventotto. Ovviamente si sospettano dell’attentato i terroristi di Boko Haram. Secondo le prime testimonianze, la ragazza sarebbe entrata in un bar alle sette del mattino. Subito dopo ha fatto  detonare la sua cintura esplosiva.

Nel nord est della Nigeria la situazione umanitaria resta sempre grave. Durante i mesi di novembre e dicembre molte persone hanno dovuto lasciare nuovamente i loro villaggi a causa delle continue incursioni dei miliziani Boko Haram e il numero è in continua crescita. Secondo gli ultimi dati sono oltre 2,3 milioni le persone che sono scappate per trovare rifugio in zone più sicure fuori o dentro il Paese. Gi sfollati sono 1,6 milioni, più di trecentomila hanno cercato protezione nel Camerun, quasi quattrocentomila tra Ciad e Niger. Oltre ventimila persone sono morte in cruenti attentati dal 2009 ad oggi.

Secondo uno degli ultimi rapporti delle Nazioni Unite, l’insicurezza alimentare e la mancanza di protezione nei campi per gli sfollati – dove spesso le donne subiscono violenze sessuali e altri abusi, proprio da coloro che dovrebbero salvaguardare la loro incolumità – sono tra i problemi più gravi.

Ormai si parla poco della terribile crisi umanitaria che da temp sta investendo oltre dieci milioni di persone nella regione del lago Ciad. Il bacino, che tra l’altro a causa dei cambiamenti climatici si sta restringendo sempre più, è situato nella parte centro-settentrionale dell’Africa al confine tra Nigeria, Niger, Ciad e Camerun. Una regione già povera che ora, a causa dei conflitti e degli attacchi di gruppi estremisti, ospita anche milioni di rifugiati e sfollati. La complessa situazione si è aggravata proprio per la difficoltà di accesso ai servizi essenziali di base, la mancanza di acqua potabile, insicurezza alimentare, malnutrizione, fragilità dei mezzi di sostentamento e la difficoltà di accesso ad infrastrutture sanitarie adeguate.

Come sempre sono i bambini e i giovanissimi a dover pagare il prezzo più alto. Cresciuti senza poter godere di un’infanzia spensierata, spesso hanno dovuto assistere a scene terribili: uccisioni, stupri, magari l’assassinio delle madre, del padre o di entrambi i genitori, dei fratelli, persone care. Sono traumi che li accompagneranno per tutta la vita. Bimbi senza la possibilità di ricevere un’adeguata istruzione.

bambini e giovanissimi africani

bambini e giovanissimi africani

Nella Repubblica Centrafricana è in atto un terribile conflitto interno dalla fine del 2012, basato su contrasti etnici, spesso accresciuti da superstizione e stregoneria. (https://www.africa-express.info/2017/10/19/centrafrica-il-paese-dimenticato/) . Nell’ultimo rapporto del 6 dicembre scorso messo a punto dagli esperti dell’ONU, si legge che questa guerra è generata  da interessi economici. Gli scontri avvengono per lo più per la concorrenza negli “affari”. Traffici di armi, minerali preziosi sono piuttosto lucrativi, e fanno gola a tutte le fazioni in conflitto cui partecipano gli ex Séléka (formato soprattutto da musulmani) e anti-balaka (vi aderiscono sopratutto cristiani e animisti) https://www.africa-express.info/2016/12/19/dal-centrafrica-al-camerun-cosi-diamanti-insanguinati-finanziano-la-guerra-civile/ e http://www.africa-express.info/2015/07/19/centrafrica-le-multinazionali-e-il-saccheggio-delle-grandi-foreste-pluviali/.  Al solito la popolazione civile paga il prezzo più alto.

ll Sud Sudan sta affrontando un sanguinoso conflitto interno dal dicembre 2013; il presidente Salva Kiir Mayardit, dell’etnia dinka, aveva accusato il suo vice Riek Marchar, un nuer, di aver complottato contro di lui, tentando un colpo di Stato. In questi quattro anni sono morte decine di migliaia di persone, per lo più brutalmente ammazzate, ma a causa di stenti per la penuria di cibo. Oltre un terzo dell’intera popolazione – 4,8 milioni di abitanti – necessita di assistenza umanitaria. La siccità non ha certamente contribuito a migliorare la già precaria situazione alimentare. Dall’inizio del conflitto ad oggi sono state uccise decine di migliaia di persone, tra loro donne e bambini. Oltre quattro milioni di cittadini hanno dovuto abbandonare le loro case, due milioni hanno cercato protezione nei Paesi limitrofi, un milione e più sono nella vicina Uganda, che sta affrontando una delle peggiori crisi migratorie del momento. Pochi giorni fa è stato firmato un nuovo trattato di pace tra il governo e i ribelli ad Addis Ababa, la capitale dell’Etiopia e sede dell’Unione africana (UA).

Il nuovo accordo è in pratica una revisione del trattato siglato nel 2015, ma tristemente naufragato nel 2016 dopo i pesanti combattimenti di Juba, la capitale del più giovane Paese del mondo. I relativi colloqui si sono tenuti in presenza dei rappresentanti dell’IGAD (l’autorità intergovernativa per lo sviluppo, un’organizzazione politico-commerciale formata dai paesi del Corno d’Africa, fondata nel 1986). L’attuale presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki, ha accolto con favore l’iniziativa, precisando: “Spero che con la firma di questo nuovo accordo, possiate finalmente porre fine alla tragedia del vostro Paese”. E Workneh Gebeyehu, ministro degli esteri dell’Etiopia, ha fatto sapere: “Ora non c’è più alcuna scusa per violare i diritti umani. Tutte le parti coinvolte nel conflitto devono osservare le clausole dell’accordo”. (https://www.africa-express.info/2017/11/24/sud-sudan-la-guerriglia-arruola-giovani-ugandesi-e-la-pace-e-ancora-lontana/)

Florence Parly, ministro della Difesa francese, ha incontrato proprio ieri Ibrahim Boubakar Keïta, presidente del Mali, a Bamako. La Parly ha voluto passare il veglione di capodanno con le truppe francesi di Barkhane . La missione francese è presente nel Sahel con quasi quattromila uomini, con base operativa a N’Djamena, la capitale del Ciad. Millesettecento soldati della missione francese si trovano a Gao, nel centro del Mali.
https://www.africa-express.info/2017/12/13/al-via-la-missione-congiunta-di-5-paesi-del-sahara-contro-il-terrorismo/.

Florence Parly, ministro della Difesa francese con Ibrahim Boubacar Keïta, presidente del Mali

Florence Parly, ministro della Difesa francese con Ibrahim Boubacar Keïta, presidente del Mali

Scopo principale dell’incontro tra la Parly e Keita è stato il nuovo contingente “Force G5 Sahel”, composto da militari africani di Mauritania, Mali, Burkina Faso, Ciad e Niger, per contrastare i terroristi jihadisti sempre più attivi in tutta l’area, in particolare nelle zone di frontiera.

Il prossimo 15 gennaio è previsto un incontro con i ministri della Difesa dei cinque Paesi del G5 Sahel e  rappresentanti di alcuni governi occidentali disposti a finanziare il nuovo contingente. La Parly ha sottolineato che “Bisogna fare in fretta affinchè il G5 Sahel possa essere attivo al cento per cento, ma bisogna stare attenti, non si deve versare acqua nella sabbia”. In poche parole, è necessario sorvegliare attentamente l’utilizzo dei fondi.

Il Sahel è fortemente militarizzato da forze internazionali. Non solo per la presenza dei terroristi, ma soprattutto per arginare il flusso migratorio. Infatti, in particolare alcune zone del Niger sono zone di transito dei migranti diretti in Libia, da dove cercano di imbarcarsi verso le nostre coste. Nel Paese sono attualmente presenti diverse basi straniere. Gli Stati Uniti (https://www.africa-express.info/2014/09/07/niger-pronta-una-nuova-base-per-droni-usa/), ne hanno due, una ad Agadez, nel nord del Paese, l’altra vicino Niamey, la capitale. Anche Parigi ha una coppia di  basi nella sua ex colonia: la prima sempre nella capitale, mentre la seconda a Madama nel nord-est, a soli duecento chilometri al confine libico. I tedeschi, invece, stanno costruendo una base aerea all’aeroporto di Niamey per facilitare l’intervento delle proprie truppe in Mali. Grazie alla posizione geografica strategica del Niger  – confina con la Libia, la Nigeria e il Mali – è possibile condurre una guerra contro il terrorismo e arginare il flusso migratorio su tre fronti. E fra poco arriveranno anche truppe italiane, come è stato annunciato ampiamente dalla stampa nazionale e internazionale. https://www.africa-express.info/2016/10/12/niger-la-seconda-tappa-del-viaggio-in-africa-della-cancelliera-tedesca/ e https://www.africa-express.info/2017/02/03/il-risultato-dellaccordo-con-il-niger-sui-migranti-aumentati-prezzi-della-traversata-verso-leuropa/.

Uomini armati appartenenti a gruppi jihadisti

Uomini armati appartenenti a gruppi jihadisti

E’ bene ricordare che attualmente sono nelle mani dei terroristi attivi nel Sahel diversi ostaggi occidentali. Tra loro la svizzera Béatrice Stoeckly, rapita ormai quasi due anni fa Timbuktu per la seconda volta (https://www.africa-express.info/2016/01/09/mali-missionaria-svizzera-rapita-per-la-seconda-volta-a-timbuktu/) e la francese Sophie Pétronin, operatrice umanitaria, che è stata sequestrata la vigilia di Natale del 2016 a Gao, in Mali https://www.africa-express.info/2016/12/26/mali-rapita-operatrice-umanitaria-francese-mentre-salta-laccordo-su-rimpatri-forzati-dalla-ue/.

All’inizio di luglio il nuovo raggruppamento, che unisce diverse formazioni armate, denominato “Gruppo di sostegno dell’Islam e dei musulmani” e guidato da Iyad Ag-Ghali, alleato di al-Qaeda e dei talebani afgani, ha rilasciato un video mostrando sei ostaggi: Oltre la Stoeckly e la Pétronin, ci sono la suora colombiana Gloria Cecilia Narvaez Argoti, il chirurgo australiano Arthur Kenneth Elliott, rapito nel Burkina Faso nel gennaio 2016 insieme alla moglie, rilasciata poco settimane dopo, il rumeno Iulian Ghergut, sequestrato nel 2015 sempre nel Burkina Faso e infine Stephen McGown, sudafricano, nelle mani dei suoi aguzzini dal 2011.

Qualche nota positiva c’è. Il 2017 ha visto l’addio di tre leader storici del continente africano. Alla fine di gennaio, Yahya Jammeh, al potere da ben ventidue anni in Gambia, è stato costretto a mollare la poltrona, dopo aver perso le elezioni contro Adama Barrow. Ora il despota si trova in esilio in Guinea Equatoriale. Edoardo dos Santos, presidente dell’Angola dal 1979 fino all’agosto di quest’anno, non si è ricandidato all’ultima tornata presidenziale, vinte dal suo delfino João Lourenço. L’ultimo ad uscire di scena è stato Robert Mugabe, il novantatreenne è stato cacciato con ignominia alla fine di novembre.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

Questi e altri argomenti saranno trattati in modo più approfonditi nei prossimi articoli del nostro quotidiano on-line. A tutti i nostri lettori auguriamo un sereno 2018.

 

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Rapiti in Nigeria 2 americani e 2 canadesi mentre continuano scontri etnici e terrorismo

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Cornelia I. Toelgyes Rov 100Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 18 gennaio 2018

Lungo la pericolosa strada Kagarko-Jere in Nigeria martedì sera quattro uomini d’affari – due statunitensi e due canadesi – sono stati rapiti. I due poliziotti della loro scorta sono stati barbaramente assassinati.

I quattro nordamericani stavano andando verso Abuja, la capitale della ex colonia britannica, quando intorno alle 19.00 dei malviventi armati hanno teso un’imboscata alla vettura sulla quale viaggiavano.

Secondo fonti militari di Kaduna, che hanno voluto mantenere l’anonimato, forze speciali dell’esercito stanno arrivando dalla capitale per appoggiare i militari e la polizia nella caccia ai banditi.

Polizia nigeriana

Polizia nigeriana

Il Dipartimento di Stato americano e il ministero degli Esteri canadese hanno confermato il sequestro e hanno diramato un avviso ai propri cittadini di non recarsi in Nigeria, salvo in casi strettamente necessari.

Lo scorso anno nella zona di Kaduna sono stati sequestrati due archeologi tedeschi  (https://www.africa-express.info/2017/02/23/rapiti-nigeria-due-archeologi-tedeschi-impegnati-scavi-vicino-kaduna/), poi rilasciati pochi giorni dopo (https://www.africa-express.info/2017/02/26/nigeria-liberati-due-archeologi-tedeschi-rapiti-nigeria/).

Un paio di settimane fa nel sud del Kaduna State due villaggi sono stati attaccati da un gruppo di fulani, pastori semi-nomadi musulmani, giunti nella zona nel XVII secolo provenienti dal Mali. Diverse persone sono stata ammazzate e molte case sono state bruciate. I residenti sono fuggiti, cercando rifugio nei villaggi vicini.

Nel Benue State, che si trova nella fascia centrale del colosso africano, invece, all’inizio di quest’anno si è consumata una strage. Anche qui si punta il dito sui pastori semi-nomadi. La mattina di Capodanno un gruppo non identificato di miliziani armati di fucili automatici di ultima generazione, ha attaccato diverse comunità, uccidendo una cinquantina di persone e lasciando dietro di sé una scia di feriti.

Map-of-Nigeria

Molti analisti e numerose organizzazioni umanitarie sono convinti che il governo centrale in questi anni ha sempre sottovalutato il conflitto tra pastori nomadi e contadini, eppure, come si evince da un rapporto di SB Morgan Intelligence consulting, negli ultimi vent’anni duranti gli scontri sono morte tra cinque a diecimila persone. Nella pubblicazione della SB le milizie dei fulani sono da ritenersi più pericolose dei terroristi Boko Haram. E anche secondo il database di Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED) l’undici per cento delle morti di civili in Africa sono causati da conflitti con pastori.

Sempre in Nigeria, due esplosioni hanno scosso ieri una periferia di Maiduguri, il capoluogo del Borno State, nel nord-est ella Nigeria. Nella zona di Muna Garage, dove sorge anche un campo per sfollati, scappati dai loro villaggi proprio per i continui attacchi dei jihadisti locali, si sono fatte saltare per aria due kamikaze, provocando la morte di dodici persone e il ferimento di altre quarantotto.

In questi giorni i miliziani di Boko Haram sono molto attivi. Si suppone che siano i responsabili  dell’uccisione di quattro soldati nigerini e di un civile nel villaggio di Toumour, vicino al Lago di Ciad e a poca distanza dal confine con la Nigeria. Altri quattro militari sono dati per dispersi dopo l’imboscata, mentre  otto sono stati gravemente feriti.

La zona di Diffa, dove è avvenuto l’assalto, è fortemente militarizzata, eppure i terroristi sono riusciti ad entrare nel villaggio indisturbati in sella alle loro moto e con diverse autovetture.

Miliziani Boko Haram

Miliziani Boko Haram

Nella stessa area di Diffa lo scorso 2 luglio sono state rapite trentanove persone, tutte donne e bambini. Solamente due sono riuscite a scappare, mentre degli altri non si hanno notizie da allora. Anche questo attacco, avvenuto nel villaggio di Nguelewa, durante il quale sono stati ammazzati anche nove uomini, è stato attribuito ai Boko Haram. Gli assalitori hanno fatto irruzione in groppa a cammelli e cavalli, trasportando gli ostaggi  sugli stessi animali e portandoli in una zona impenetrabile per qualsiasi veicolo.

Ancora oggi tutto il Niger è scosso da questo rapimento, passato nel quasi totale silenzio nel mondo. Passati duecento giorni, è stata lanciata una campagna per attirare l’attenzione su questo sequestro. Le famiglie del villaggio sono disperate, da luglio sono senza notizie dei loro cari. Con l’hashtag #JeSuisNguéléwa si vuole rompere il muro del silenzio. E anche la redazione di Africa ExPress si unisce a questa campagna.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
#JeSuisNguéléwa

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Liberati i quattro ostaggi occidentali rapiti in Nigeria

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Africa ExPress
Abuja, 20 gennaio 2018

I due cittadini statunitensi rapiti insieme ad altri due canadesi sono stati liberati (https://www.africa-express.info/2018/01/19/rapiti-nigeria-2-americani-e-2-canadesi-mentre-continuano-scontri-etnici-e-terrorismo/) poche ore fa. Lo ha reso noto un portavoce della polizia di Kaduna.

I quattro nordamericani godono di buona salute e sono stati ritrovati durante un’operazione congiunta tra polizia ed esercito in una foresta a nord della capitale Abuja. I due poliziotti della loro scorta erano stati uccisi durante un’imboscata tesa dai malviventi martedì sera.

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Sempre martedì, sono stati sequestrati cinque operai nigeriani di una ditta locala che opera nel settore petrolifero, la Sahara Energy, nel Delta State. Finora non si hanno dettagli sulla loro sorte.

I sequestri di persona stanno diventando una vera e propria piaga in Nigeria. I malviventi sperano sempre in guadagni facili con i rapimenti. Non è stato reso noto se i criminali abbiano chiesto un riscatto per i quattro stranieri. E’ probabile, ma non certo, che gli ostaggi siano stati liberati con un blitz delle teste di cuoio.

Africa ExPress

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